Parapendio
Quattro passi fra le nuvole
Da lassù ogni cosa acquista un significato diverso e tutto quello che a terra sembra così importante, visto dall’alto ha un altro valore e ci fa comprendere che sicuramente esiste Chi, più grande di noi, con la sua immensità ci ha permesso di immergerci totalmente in questa nuova dimensione: il cielo.” (Guido Teppa)
PARAP! Suono onomatopeico. Indica frattura, slogamento… rottura di legamenti. Ed è così che mi ritrovo dopo la prima lezione… Non cammino più, striscio. Il braccio sinistro serve solo per far muovere e supportare quello destro, assolutamente inutilizzabile… e ho lividi bluastri dappertutto. Piani dei Resinelli. Una nebbia densa e pesante copre a tratti un paesaggio splendido. Rosso, giallo, mattone, sfumature autunnali fortissime e dorate pennellano le foglie del boschetto sottostante. Pendii ancora verdi e una grande massa di fango scivolosissimo, ovunque. La cima del Resegone fra le nuvole, la Grignetta che a tratti sbuca alle spalle, un cacciatore, un cane, qualche capretta… Il paesaggio fatato abitato dagli Hobbit insomma, quelli che ti aspetti di vedere da un momento all’altro… E due bravissimi insegnanti, Enrico ed Alex.
Per tutta la giornata, fino a che la forza me lo permette, faccio esercizi per imparare a gonfiare e ad alzare la vela con corse pazze giù per il pendio; poi carico il tutto a fiocco e risalgo; riposiziono la vela, la ricontrollo e riparto; e ancora per dieci, quindici volte… una roba, per me, oltre misura. Ma i primi passi sono sempre i più difficili. E, giusto per iniziare, fallisco clamorosamente la posizione di partenza un tot di volte cosicché la vela decide di non alzarsi; abbasso troppo presto i freni perché, se già sto pensando alla corsa, come posso concentrarmi anche sulla posizione delle braccia o sulle mani o sulle bretelle? Rallento un po’ il mio scatto felino quanto basta per ritrovarmi con la vela che mi passa – ommiodddiooooo! – davanti e sono a terra a pelle di leopardo – o di foca? – nella melma resa ancor più schifosa dalle recentissime piogge. Quando non sai pilotare una vela, l’ovvio è che lei piloti te. Insomma, un disastro.
Il nostro gruppo-allievi è molto simpatico, eterogeneo e numeroso: fra grafici, architetti, poliziotti, ingegneri, restauratori, musicisti, avvocati, studenti e altro ancora, siamo in ventisette – quattro le donne – legati da una grande passione, affascinati dal volo libero. Ed ogni fine settimana ci riuniamo al ‘campetto’ per capire il vento, sbrogliare i cordini, tentare timidissimi decolli e atterraggi. Poi, da metà collina ecco i primi ‘stacchi’ di pochi secondi, una tensione fortissima, un’emozione esagerata. Tanto, non ce la farò mai! Questa frase scaramantica che penso e ripeto spesso per esorcizzare la paura non fa che imbufalire Alex. “Tu non devi fare altro che stare zitta!” è la litania che segue sempre.
Un sabato mattina c’è vento da nord ed è impossibile qualsiasi volo. Decidiamo allora di salire al decollo, da dove dovremo prima o poi spiccare – tutti?… mai nessuno che si è ritirato all’ultimo, vero? – il nostro primo volo alto, il battesimo dell’aria nell’attività parapendistica. Da lassù la visione è ben diversa, meglio saper riconoscere prima qualcuno fra i riferimenti d’atterraggio, quelli che abbiamo memorizzato solo da terra. Ottocentocinquanta metri più sotto i laghetti sono brillanti gocce di rugiada. E io dovrei correre per buttarmi giù da qui? Non se ne parla neanche! Poi quando sarò da sola in aria dove dovrò andare? Verso il condominio… ma dove caspita sta il condominio? Ho già la gola secca, sono senza saliva. Non ti devi preoccupare di niente, ti seguiremo noi – sempre! – con la radio: il primo volo lo puoi fare anche a occhi chiusi! Ma se la radio non dovesse funzionare? Forse proprio la mia radio non funzionerà, anzi so per certo che sarà proprio la mia a non funzionare… è già successo ai Resinelli, ricordi?
Dedalo, Icaro, miti e leggende sono ricchi di riferimenti sull’ambizione dell’uomo di volare. Ma io cosa c’entro? E perché sono qui? Non debbo scappare da nessun labirinto io…
Volare è un’esperienza che ha il potere di cambiare le persone. Ma cosa ci porta a volare? Fra le risposte, queste sono le più frequenti:
Perché quando volo mi sento vivo, è emozionante, è una sensazione forte. Chi vola vale, chi non vola è un vile! Faccio parte del gruppo dei piloti: mi sento finalmente realizzato! Sono libero, sto a contatto con la natura; è divertente giocare con il vento con la propria vela. E’ un’esperienza, sento di imparare molto, mi sento cambiato, sono più calmo, più sicuro. E’ una cosa vera; solo con te stesso non puoi barare. Per sentirmi diverso, per staccare dalla vita di tutti i giorni. E’ la realizzazione di un sogno che faccio spesso: trovo bellissima la sensazione di fluttuare, di muovermi in tre dimensioni, di nuotare nell’aria.
Allora il volo è una sorta di nuovo rituale per trovare un’identità propria, uscire dalla normalità e distinguersi. E’ imitazione dei riti di iniziazione in uso presso diverse culture primitive, segna il passaggio alla condizione adulta. Oppure è gioco, provoca piacere: è forse il modo più spontaneo e naturale per avvicinarsi al volo libero. E’ cura: lontano dalla sicurezza della terra, il pilota può fare affidamento solo sulle proprie risorse, consapevole che è la libertà ciò che conta. O è ricerca di purezza: in cielo non ci sono gli oggetti che sulla terra creano il desiderio del possesso; ma, una volta conquistato l’oggetto, l’appagamento che ne segue è brevissimo se non inesistente. Il desiderio si trasforma allora in un nuovo desiderio e il volo è la via di fuga: mette distanza dalla terra, dagli oggetti, dal mondo delle pulsioni. Ancora, è regressione all’infanzia: nasce il senso di spazio amico che sostiene e aiuta. I sogni di volo e le fantasie potrebbero essere residui di un tempo antico, ricordi di un’epoca ancora anteriore alla nascita, quando eravamo cullati e protetti nel nostro universo di liquido amniotico.
Da parte mia ho deciso di volare spinta da nessuna e da tutte queste ragioni messe assieme. Cerco emozioni e comunque tento di arricchire la mia vita. I “cercatori di sensazioni” sono persone che nella vita di tutti i giorni spesso si annoiano e raggiungono un equilibrio soltanto quando fanno attività particolari: appendersi con un dito alla sporgenza di una roccia, il baratro sotto; scalare montagne sempre più alte; immergersi a profondità sempre maggiori; tentare le massime velocità possibili in auto o sugli sci; perdersi nei deserti. Nulla di male in sé, ma in alcuni di loro c’è anche la segreta convinzione di essere talmente bravi da riuscire sempre a fare di tutto e bene, che gli incidenti siano dovuti solo a sfortuna o a un errore tanto banale e grossolano che non potrà certamente ripetersi. Purtroppo sono irrimediabilmente affascinata da personaggi di questo tipo. Nel mio girovagare li ho incontrati, amati e raccolti come perle su un filo. Ho trovato di tutto meno che buoni sentimenti. E’ la voglia di controllare situazioni sempre più difficili, di dimostrare il proprio valore e superiorità che diventa un autentico azzardo. E’ una sfida giocata contro se stessi e contro gli altri. E’ puro egoismo.
Ed ecco il pilota ‘a rischio’ e il pilota ‘sicuro’. La differenza fra i due deriva solo dai diversi motivi che spingono un uomo a volare. A seconda di cosa ci si aspetta, il volo libero può dare una pericolosa sensazione di onnipotenza e diventare quindi un insidiosissimo sport estremo, oppure può regalare un appagante senso di libertà in un’attività sicura e gratificante.
Il parapendio altro non è che la derivazione del paracadute da lancio ad ala, nato da una geniale intuizione concepita durante gli studi sullo Space Shuttle intorno al 1965. Dall’ala a doppio strato con un proprio profilo aerodinamico al paracadute ascensionale il passo è breve. Si tentano i primi decolli a piedi in modo da svincolarsi totalmente anche dall’aereo e da tutte le sue limitanti complicanze, non ultime quelle economiche. In Francia nel 1978 si utilizzano i primi parapendii a cassone. Nel 1979 spuntano associazioni di appassionati e la nuova disciplina si diffonde a macchia d’olio in tutto il mondo. Il ‘paraplano’ conquista i grandi alpinisti che possono nello stesso tempo alleggerire le loro imprese arricchendole di intensità. Per scendere dall’Aiguille du Midi del Monte Bianco fino a Chamonix ci vogliono solo pochi minuti (1982, Roger Fillon). Si consolida il ‘paralpinismo’ dalle più alte vette delle Alpi agli 8000 metri del Gasherbrum II (luglio 1985, Pierre Gevaux), dalle cime himalayane al Kilimanjaro, dal monte Kenja all’Aconcagua. Anche la tecnica si evolve rapidamente tanto che già alla fine del 1980 non è molto diversa da quella dei giorni nostri. Si sostituisce il tessuto poroso del paracadute da lancio, in grado di sopportare bene il trauma dell’apertura, con il nylon rip-stop del tipo spinnaker, impermeabile, più adatto per ‘galleggiare’ a lungo nell’aria. Si passa dagli imbraghi da paracadutismo ai comodi seggiolini e davvero, finalmente si comincia a ‘stare in aria’, a volare. Uno dei grandi sogni dell’uomo è stato realizzato.
Al mio primo volo alto ogni esitazione scompare: è felicità che sento salire lungo la schiena in una sorta di formicolio che esplode in eccitazione che immediatamente è pace, calma e dolcezza. Sono sensazioni morbide che provo lassù nell’aria, sospesa nel vento, passeggiando fra le nuvole nel cielo.
Letture consigliate:
– Parapendio, di Guido Teppa, Mulatero editore
– Il parapendio, corso completo, di Dante Porta e Franco Baccara, De Vecchi editore
di Francesca Chiolerio – gennaio 2001
Pubblicato su: “Volo Libero” – organo di informazione della FIVL – N. 119 (n. 3 – 2001)